Misterh ha scritto:“Il morbo di Hodgkin è un linfoma caratterizzato dalla presenza di cellule tumorali particolari le cellule di Reed-Sternberg, cellule giganti provviste di due o più nuclei i quali contengono dei grossi nucleoli i quali fanno sì che al microscopio l'aspetto sia simile a quello degli occhi della civetta.”
Segni di malattia sono i linfonodi ingrossati di volume, spesso sui due lati del collo (ma anche ascelle, inguine, addome), non dolenti. Disturbi generali sono la sensazione di stanchezza, la facile stancabilità, la sudorazione notturna, il prurito, gli episodi ripetuti di febbre (ad intervalli di due-tre giorni), la perdita dell'appetito, il calo di peso, dolori alla schiena, alle braccia, all'addome, alle ossa
La prognosi è spesso favorevole: non solo nel 90% circa dei casi la malattia, curata al suo esordio, può essere bloccata, ma buoni risultati si ottengono in oltre la metà dei pazienti che scoprono la malattia in fase avanzata (IV stadio).
Il linfoma di Hodgkin è un tumore abbastanza raro . Può presentarsi in soggetti di tutte le età, ma è più frequente in quelli fra 20 e 30 anni e fra 65 e 70.
Sconosciute sono le cause; non è stata dimostrata in modo definitiva un'origine infettiva della malattia, anche se in molti casi è possibile dimostrare la presenza del virus di Epstein-Barr (il virus della mononucleosi infettiva) all'interno delle cellule neoplastiche. Sono in corso ricerche in molti laboratori per poter comprendere i meccanismi con i quali il virus provochi la trasformazione neoplastica; quando ciò sarà avvenuto è probabile che si riuscirà a realizzare anche farmaci più efficaci e meno tossici.
Sconosciuto è anche il tipo di cellula in cui prende origine il tumore: in molti casi è un linfocita B, a volte un linfocita T. In alcuni casi non si riesce tuttavia ad identificare il tipo cellulare interessato alla trasformazione neoplastica.
Nonostante queste incertezze, il morbo di Hodgkin rappresenta oggi il prototipo dei tumori curabili con i moderni approcci terapeutici. Questo tumore è stato infatti il primo a poter essere curato con la chemioterapia e/o radioterapia nella maggioranza dei soggetti affetti. Un contributo fondamentale a questi progressi è stato fornito da studiosi italiani, particolarmente dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, che hanno proposto negli anni 70 un protocollo di polichemioterapia, l'ABVD, che oggi è divenuto il protocollo standard nei maggiori centri mondiali, soprattutto perché meono tossico di altri e di efficacia almeno pari o superiore.