Dopo le tre gravidanze, fare il prelievo non mi causava più alcun fastidio: riuscivo ad osservare tranquillamente il sangue scorrere dalle mie vene nella siringa. Quel giorno, però, rimasi a guardare con più attenzione perché il mio sangue era molto chiaro. Pensai: altro che anemizzata, ho il sangue annacquato.

Mentii sull’urgenza di ripetere gli esami e andai ai colloqui con i professori di mio figlio maggiore insieme a mio marito al quale dissi solo che l’indomani saremmo dovuti andare in pronto soccorso dal prof. G.I. per vedere se c’era davvero la situazione di pericolo paventata dal medico del laboratorio ma cercai di tranquillizzarlo e di tranquillizzare anche tutti coloro che saputa la cosa, colleghi in primo luogo, continuavano a chiamarmi. Cercai di rasserenare anche mia madre che ancora non era uscita dallo stato di prostrazione che le aveva causato la morte di mio padre a causa di un brutto cancro. Io sapevo bene cosa mi stava accadendo ma non volevo ammetterlo. Continuavo a ripetermi che era un grosso equivoco e che l’indomani mattina sarebbe stato chiarito tutto: avevo un po’ di anemia dovuta dall’ingente perdita di sangue dei giorni precedenti. Cosa volevano tutti quanti da me? Sì, certo erano mesi che mi sentivo sempre stanca: vorrei vedere chiunque di voi a gestire tre figli, con un matrimonio sull’orlo di una crisi di nervi, lavorare almeno otto ore al giorno stando fuori di casa almeno dieci ore considerando le lunghe file sul raccordo, non aver tempo per te stessa, assolvere agli impegni domestici, correre, correre, correre e ancora correre tutto il santo giorno. E poi si meravigliavano che avessi perso qualche chilo: sfido chiunque a non dimagrire con tutte queste corse. I lividi? Ma che vuoi che sia un livido o anche due o tre? Chissà dove avrò sbattuto distratta come sono? Le sudorazioni notturne? Beh, che vuoi, con i termosifoni accesi e questo piumone così pesante, tu non suderesti? Le petecchie? Ma dai, non ricordi che ho la vitiligine? La mia pelle non ha una colorazione uniforme. Una macchietta in più o in meno non significa davvero nulla! L'unica cosa che non mi spiegavo era l'enorme fatica che compivo ogni volta che salivo le scale e, soprattutto, il fiatone che mi restava per tantissimo tempo.
Quel pomeriggio, mentre ero a scuola di mio figlio per i colloqui con i professori, qualche mamma di quelle con cui ero più in confidenza mi chiese se stessi bene, una mi disse: “Ma come sei pallida! Sembri una statua di cera! E poi anche le tue unghie sono talmente bianche. Ma sei sicura di stare bene?” Risposi che in realtà il giorno dopo sarei andata a fare degli accertamenti ma che in fondo io non avevo disturbi. Quindi dipendeva tutto dallo stress. Ne ero sicura.
Finiti i colloqui, però, mi recai in un negozio di biancheria e acquistai qualche pigiama: pensai che se ci fosse stato bisogno di un ricovero mi sarebbero tornati utili e quanto lo sono stati... Poi andai a riprendere i miei bambini dai nonni paterni e cercai di essere allegra e spensierata almeno con loro. La paura, vi assicuro, cominciava a salire dal fondo del mio cuore fino al mio cervello. La notte dormii di un “sonno chimico”: presi delle gocce e mi infilai sotto le coperte!
L’indomani mattina quando salutai i miei ragazzi li abbracciai come se fosse la prima e l’ultima volta che avessi quell’opportunità e mi recai, accompagnata da mio marito e da mia madre, al Bambin Gesù a fare quelle benedette analisi. Dopo il prelievo, aspettando i risultati, andammo al bar e bevvi l’ultimo cappuccino da quel giorno: decisi, mentre lo gustavo, che avrei bevuto il successivo quando sarebbe tutto finito ed ancora non l’ho fatto... un po' anche per scaramanzia (aspetterò i 5 anni dal trapianto per il prossimo). Arrivarono i risultati che decretarono che i valori erano in discesa rispetto al giorno precedente: meno di diecimila piastrine e 4.1 di emoglobina. Ma stavo ancora perfettamente in piedi sulle mie gambe! Un po’ stanca e con il fiatone ma in piedi!
Mi fu organizzato un ricovero di urgenza al Policlinico di Tor Vergata: il nostro amico ematologo mi disse di andarci senza passare per casa ma io disubbidii di nuovo e andai a casa a preparare la valigia. Misi dentro due o tre cosette ancora ignara che dal quel 14 gennaio del 2007 sarei uscita dall’ospedale il 21 gennaio del 2008 avendo passato lontana da casa e dai miei figli tutte le vacanze di Natale.
La diagnosi: Leucemia Mieloide Acuta di tipo M2
La prognosi: un anno di cure ma buone probabilità di farcela
La realtà: un percorso lungo, tortuoso, triste, devastante, odioso, durato ben più di un anno...
La cosa importante: SONO ANCORA VIVA e sono passati 4 anni, 2 mesi, 24 giorni dalla REMISSIONE COMPLETA. Un discreto traguardo, no?
Perché ho deciso di partecipare al vostro forum? Perché me ne ha parlato la mia dottoressa dicendomi che un ragazzo di nome Fulvio, anche lui del PTV, aveva dato vita a questo forum. Lui, forse, capirà chi è la mia dottoressa: il mo angelo che mi accompagna e mi sostiene da quel giorno ogni volta che ho bisogno di lei e anche di più! La leucemia mi ha anche aiutata a ricostruire il mio matrimonio e se questo vi sembra poco...
Perché poi è questo il bello della mia avventura: che ci sono dei lati positivi e delle opportunità che, se non fosse successo proprio a me, non mi si sarebbero presentate, ma di questo vi parlerò nei miei prossimi interventi, se vorrete starmi a sentire… Sì, lo so sono logorroica anche quando scrivo! Ma voi sarete “pazienti”, vero?
