Svolta positiva nella cura dei tumori del sangue

Tutto cio' che avreste voluto sapere ma non avete mai osato chiedere su Linfomi Hodgkin,Linfomi non Hodgkin e Leucemie
Rispondi
Messaggio
Autore
Avatar utente
francesca
veterano
veterano
Messaggi: 998
Iscritto il: 9 dic 2006, 0:03
Località: cagliari

Svolta positiva nella cura dei tumori del sangue

#1 Messaggio da francesca »

http://www.corriere.it/sportello-cancro ... emie.shtml


La rivista JAMA traccia il bilancio di una serie di successi terapeutici Farmaci antileucemia, le tappe di una svolta La «rivoluzione» nelle cure è partita con l’imatinib (Glivec). Ma nuovi farmaci stanno per fare il loro ingresso, anche in Italia. STRUMENTIVERSIONE STAMPABILEI PIU' LETTIINVIA QUESTO ARTICOLO
MILANO - «Siamo in un momento particolare, in cui c’è la possibilità di trasferire molte conoscenze dal laboratorio al letto del malato, e dobbiamo cogliere l’occasione al meglio». Con queste parole Kenneth Kaushansky, presidente dell’American Society of Hematology, ha concluso il recente meeting che si è svolto a San Diego, in California, durante il quale sono state presentate diverse novità sulla cura dei tumori del sangue. L’importanza dei risultati raggiunti autorizza a sperare che ci si trovi davvero vicini a un punto di svolta. La rivista JAMA (Journal of the American Medical Association) ha riassunto gli spunti più significativi, e Sportello Cancro ha chiesto un commento a Michele Baccarani, direttore dell’Istituto di Ematologia e Oncologia “Seràgnoli” dell’Università di Bologna, Policlinico Sant’Orsola-Malpighi, che coordina i tre maggiori gruppi italiani di studio sulla leucemia mieloide cronica, il mieloma multiplo e i linfomi.
Ecco in sintesi i tre ambiti nei quali vi sono le novità più significative:
Leucemia mieloide cronica – La lotta contro questa malattia è un modello esemplare delle potenzialità dei nuovi farmaci, perché grazie all’introduzione dell’imatinib (Glivec), il tasso di sopravvivenza a cinque anni è passato dal 50 per cento a oltre il 90 per cento. Ciò è avvenuto perché è stata individuata una proteina prodotta solo dalle cellule malate (un enzima, la tirosina chinasi BCR-ABL), ed è stata progettata una classe di farmaci, come il Glivec appunto, in grado di colpirla selettivamente, lasciando inalterate le cellule sane. Ma anche con l’imatinib accade che alcuni malati, circa il 10 per cento del totale, siano o diventino resistenti, e oggi la ricerca appare in grado di offrire loro una soluzione. Nel corso di quest’anno entreranno infatti in commercio anche in Italia almeno altri due farmaci più potenti del Glivec, uno (nilotinib) che è un derivato dell’imatinib medesimo, e un altro (dasatinib) che è il capostipite di una nuova generazione di medicinali attivi anche su altre chinasi (chiamate src).
Ma non finisce qui, perché per i pazienti che sono insensibili anche a questi due farmaci (a causa di una mutazione, nel loro patrimonio genetico, detta T315I) esiste già almeno un’altra molecola, per ora sperimentale, chiamata MK 0457. Secondo i dati presentati a San Diego da Francis Giles dell’M. D. Anderson Cancer Centre di Houston (Stati Uniti), e subito dopo pubblicati sulla rivista Blood, infatti, MK 0457 ha dato risposte molto buone in alcuni pazienti che possiedono la mutazione incriminata, con effetti collaterali simili a quelli delle molecole analoghe. Commenta Baccarani: «Questi dati sono molto positivi, perché ampliano il numero degli strumenti terapeutici a disposizione per diverse categorie di malati e la possibilità di variare gli assortimenti dei farmaci qualora uno di essi dovesse diventare inefficace. Naturalmente i medicinali più nuovi dovranno reggere alla prova di ulteriori sperimentazioni e dell’utilizzo su larga scala, ma i presupposti perché non si abbiano sorprese negative per ora sembrano esserci, anche dal punto di vista della tossicità, che non è diversa da quella del Glivec».
Sindrome mielodisplastica e leucemia mieloide acuta - Queste malattie sono state oggetto di una sperimentazione “atipica”, che tuttavia sta prendendo sempre più piede anche in Italia: quella con farmaci che sono stati autorizzati per patologie diverse. Nel caso specifico, la sostanza studiata è stata l’erlotinib (meglio noto come Tarceva), antitumorale usato contro il cancro polmonare e diretto contro una particolare molecola: il recettore del fattore di crescita epidermico (in sigla: EGFR). In realtà questa proteina è assente sia nella sindrome mielodisplastica, sia nella leucemia acuta. E allora, perché usare l’erlotinib? Spiega Baccarani: «La maggior parte dei nuovi medicinali ha un’azione contemporanea su più bersagli, che spesso sono stati individuati solo con il passare del tempo, via via che le sperimentazioni proseguivano. Non stupisce quindi che anche per il Tarceva sia così».
In particolare, il farmaco è stato provato dagli oncologi dell’Istitut Gustave Roussy di Villejuif, in Francia sulle cellule di dieci malati, che hanno risposto molto bene senza mostrare segni di quella tossicità che a volte rende impossibile la chemioterapia tradizionale.
Gli esperti hanno anche individuato il possibile bersaglio alternativo del farmaco in una proteina identificata di recente e chiamata nucleofosmina. Secondo Baccarani, l’uso off label di un farmaco, ovvero un impiego diverso da quello per cui è stato studiato, può essere un’importante risorsa per i pazienti e i ricercatori, a patto che ci si muova con estrema cautela e con competenza: «La maggior parte delle terapie - dice l’ematologo - viene approvata per un uso limitato a casi molto particolari. Nel tempo, però, ci si accorge che esse possono essere impiegate con successo anche in altre forme neoplastiche e in questi casi si è andata consolidando la prassi di usare quella certa terapia e di prescriverla al di là delle indicazioni ufficiali, a volte anche per evitare che il malato se la debba pagare di tasca propria, come accade quando non corrisponde al profilo del destinatario previsto dagli schemi. Questa abitudine - sottolinea Baccarani - può essere pericolosa, perché fa sì che vengano somministrate cure con modalità e indicazioni non studiate fino in fondo. Però talvolta consente anche, come nel caso del Tarceva, di scoprire altre potenziali applicazioni utili. Bisognerebbe stabilire regole precise perché, in presenza di certi presupposti e in condizioni controllate, sia concesso compiere “esplorazioni” di questo tipo. A patto che a farlo siano persone davvero competenti e attente».
Linfoma non Hodgkin - La segnalazione più importante a proposito dei linfomi non Hodgkin riguarda un lavoro tutto italiano, coordinato da Corrado Tarella dell’Università di Torino, che ha coinvolto dieci centri e quasi 1.000 malati. Nell’ambito di questo studio il rituximab, uno tra i primi anticorpi monoclonali ad essere introdotti in clinica, è stato associato a una chemioterapia ad alto dosaggio, con lo scopo di migliorare le possibilità di successo del trapianto di midollo. Dopo cinque anni, la sopravvivenza di coloro che erano stati sottoposti a questo schema era significativamente più alta di quella dei malati trattati con la sola chemioterapia (72 per cento contro 56 per cento) e il numero di recidive era inferiore. Spiega Baccarani: «Anche in questo caso il farmaco biologico sta mostrando nuove potenzialità, pur essendo in uso da più di dieci anni. Come molti avevano previsto in passato, le nuove molecole possono migliorare l’effetto della chemioterapia tradizionale o essere protagoniste di nuovi scenari: è probabile che in futuro vi saranno molti altri tentativi in questa direzione, e che l’armamentario terapeutico a disposizione per la cura delle neoplasie del sangue si arricchirà di nuovi strumenti, più intelligenti, meno tossici e più potenti».Agnese Codignola
12 marzo 2007
Immagine
Immagine

Rispondi

Torna a “Notizie e curiosita' su Linfomi e Leucemie”