Linfomi, nuove conferme sul rituximab

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Linfomi, nuove conferme sul rituximab

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Linfomi, nuove conferme sul rituximab

L’anticorpo monoclonale potenzia la chemio. Contro alcune forme cerebrali della malattia, somministrazione diretta nell’encefalo.

MILANO - Migliora la risposta alla terapia, allunga il periodo nel quale non ci sono ricadute e prolunga la sopravvivenza globale. Non solo: nei linfomi cerebrali e oculari può essere somministrato localmente ed essere così più attivo.
Sono tutti di segno positivo gli ultimi risultati sull’uso dell’anticorpo monoclonale rituximab per la cura di diverse forme di linfomi non Hodgkin. Commercializzato col nome di Mabthera, è attualmente utilizzato contro i linfomi follicolari chemioresistenti o in recidiva dopo chemioterapia, e viene somministrato per infusione endovenosa, ma sembra essere utile anche contro altre forme di malattia. Gli studi proseguono dunque in varie parti del mondo, per valutare se e come estenderne le indicazioni.
Gli ematologi della Clinica di Medicina Interna dell’Università di Colonia (in Germania) hanno pubblicato sul Journal of the National Cancer Institute i dati relativi quasi 2.000 malati di diverse forme di linfoma. L’analisi dei risultati ha mostrato che, sia pure in modo non omogeneo, l’aggiunta alla chemioterapia tradizionale dell’anticorpo, che è diretto contro una proteina del tumore chiamata CD20, dà risultati migliori rispetto alla sola chemioterapia per quanto riguarda la sopravvivenza, la risposta al trattamento e il controllo della malattia.
La seconda ricerca, una sperimentazione clinica di fase I (iin cui il farmaco viente testato per la prima volta sull'uomo), ha invece esplorato la possibilità di somministrare l’anticorpo monoclonale direttamente nei ventricoli cerebrali per curare le forme che colpiscono l’occhio e lo stesso cervello; se viene somministrato per via sistemica, infatti, il farmaco ha difficoltà a passare la barriera ematoencefalica che avvolge e protegge il cervello, e risulta dunque meno attivo. Gli oncologi dell’Università della California (Stati Uniti) hanno selezionato dieci pazienti che avevano una recidiva della malattia, e hanno erogato loro dosi crescenti di rituximab direttamente nel cervello; hanno così stabilito che la dose ottimale è di 25 milligrammi, e visto che sei malati hanno avuto una risposta dimostrabile a livello cellulare, e quattro una risposta completa. Uno di essi, secondo quanto riferito sul Journal of Clinical Oncology, è guarito, e un altro ha avuto una regressione della forma oculare. Secondo gli autori, l’esito dimostra che l’approccio merita di essere approfondito su un numero più ampio di malati, per verificare se questa via di somministrazione possa rappresentare una valida alternativa a quelle tradizionali.


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