Ruolo della Tomografia Assiale ad emissione di Positroni

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Ruolo della Tomografia Assiale ad emissione di Positroni

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Congresso EHA (European Haematology Association)
Vienna (Austria) Giugno 2007


Ruolo della Tomografia Assiale ad emissione di Positroni con impiego di fluoro deossiglucosio nella stadiazione e nella valutazione della risposta al trattamento chemioterapico nei pazienti con linfoma di Hodgkin.

Durante il recente congresso della Società Europea di Ematologia, tenutosi a Vienna-Austria agli inizi dello scorso Giugno, nell’ambito dei simposi educazionali, si è fatto il punto sul ruolo della tomografia assiale ad emissione di positroni con impiego di fluoro-deossiglucosio (FDG-PET) nei pazienti con linfoma di Hodgkin.
La PET è una procedura non invasiva che può visualizzare processi biochimici in vivo, utilizzando il FDG come bio-marker. Al momento, è la più specifica e sensibile tecnica d’imaging molecolare. Il FDG-PET si è dimostrata molto utile nella valutazione dei pazienti con linfoma di Hodgkin in varie fasi della malattia. Durante la fase di stadiazione (vale a dire, quel articolata serie d’indagini cliniche e strumentali che sono messe in atto al momento della diagnosi di linfoma), l’orientamento attuale è quello di affiancare l’esame PET alle procedure diagnostiche tradizionali (in pratica, esame obiettivo, indagini bioumorali, tomografia computerizzata, e biopsia osteomidollare), così da creare un’integrazione delle procedure d’imaging non solo tra loro, ma anche con i dati clinici del paziente. In questa fase, la PET ha completamente sostituito la scintigrafia al gallio. Infatti, l’ FDG-PET si è dimostrata essere più accurata nell’identificare siti di malattia sia a livello dei linfonodi sia a livello extra nodale. In altre parole, l’esame PET è in grado di definire meglio l’estensione della malattia (sovra- e sotto-diaframmatica), il numero di siti linfonodali coinvolti, la presenza di siti extra-linfonodali coinvolti (fegato, milza, polmone, etc.). Rispetto alle procedure diagnostiche tradizionali, la PET è in grado di modificare la stadiazione in un numero significativo di pazienti, che varia a secondo delle casistiche tra il 10% e il 40%. La cosa più rilevante è che in circa la metà di questi pazienti anche la strategia terapeutica è modificata; in genere, sono impiegati protocolli chemioterapici più intensi, e viene aggiunto il trattamento radioterapico. Nonostante le limitazioni legate ai costi e ai tempi d’attesa per l’effettuazione dell’esame, l’esame FDG-PET è una procedura molto raccomandata nella fase di stadiazione dei pazienti con linfoma di Hodgkin, prima dell’inizio della terapia. Durante la fase di ristadiazione (cioè, la rivalutazione che viene fatta al termine del trattamento chemioterapico), il ruolo della PET è molto importante. La PET è in grado di discriminare nell’ambito di una massa residua (ben evidente alla TC) tra fibrosi/necrosi e malattia tumorale attiva. La diagnosi differenziale tra queste due entità è molto importante; la presenza di malattia attiva all’interno di una massa residua post-chemioterapia richiede sicuramente un ulteriore trattamento (una possibilità è la radioterapia). Attenzione bisogna porre ai falsi positivi (rebound timico, processi infiammatori legati alla radioterapia o a infezioni). Durante il trattamento chemioterapico, l’esame PET può essere effettuato in fase molto precoce (dopo 2-3 cicli di chemioterapia) allo scopo di predire la risposta finale alla chemioterapia. Studi sono in corso per definire se l’effettuazione precoce della FDG-PET è in grado di selezionare i pazienti a cattiva prognosi, che richiedono di essere avviati rapidamente a terapie più aggressive (una possibilità: la chemioterapia ad alte dosi, seguita da infusione di cellule staminali emopoietiche). In conclusione, l’esame FDG-PET ha sicuramente migliorato il processo di stadiazione e ristadiazione dei pazienti affetti da linfoma di Hodgkin. In futuro, ciò potrebbe portare ad un miglioramento delle strategie terapeutiche, e quindi della sopravvivenza dei pazienti affetti da linfoma di Hodgkin.
A cura di Marco Picardi, Ematologo


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