Il trattamento dei pazienti con linfoma di Hodgkin in stadio

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Il trattamento dei pazienti con linfoma di Hodgkin in stadio

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Il trattamento dei pazienti con linfoma di Hodgkin in stadio iniziale.

Durante il recente congresso della Società Americana di Ematologia, tenutosi ad Orlando-Florida agli inizi dello scorso Dicembre, nell’ambito dei simposi educazionali, si è fatto il punto sul management dei pazienti con linfoma di Hodgkin in stadio iniziale. Per primo, si è definito lo stadio iniziale (o precoce) del linfoma di Hodgkin. I pazienti in stadio iniziale presentano l’interessamento di una sola stazione linfonodale (stadio I) o di due o più stazioni linfonodali non contigue situate dallo stesso lato del diaframma (stadio II), in assenza di sintomi sistemici di malattia (sintomi B: calo ponderale, febbre, sudorazione) e di masse tumorali particolarmente voluminose (definite “bulky”, perché presentano un diametro longitudinale superiore o uguale a 10 cm). Facendo una stima approssimativa, circa un terzo di tutti i pazienti con linfoma di Hodgkin avranno malattia in questo stadio. La restante parte di pazienti avrà malattia in stadio avanzato, caratterizzata da sintomi B, malattia “bulky”, due o più stazioni linfonodali da entrambi i lati del diaframma (stadio III), interessamento di sedi extranodali (polmone, fegato, osso; stadio IV). Negli ultimi decenni, il trattamento dei pazienti con linfoma di Hodgkin in fase iniziale ha subito delle radicali trasformazioni. In passato, l’assenza di procedure radiologiche affidabili rendeva necessaria l’effettuazione di una laparotomia esplorativa con splenectomia, allo scopo di evidenziare la presenza di localizzazioni occulte sotto-diaframmatiche. L’accuratezza diagnostica raggiunta dalle moderne tecniche di radiologia e medicina nucleare ha permesso di abbandonare la stadiazione così detta di tipo patologico. Attualmente, si utilizza la stadiazione di tipo clinico basata su metodiche radiologiche, come la Tomografia Computerizzata (TC) e la Tomografia Assiale ad emissione di Positroni (PET) con impiego di fluoro-deossiglucosio; la biopsia ossea dalla cresta iliaca posteriore è l’unica metodica invasiva ancora impiegata nelle moderne procedure di stadiazione. Per quanto riguarda l’approccio terapeutico al paziente con linfoma di Hodgkin in fase iniziale, l’introduzione della polichemioterapia nei protocolli di trattamento ha notevolmente migliorato la prognosi della malattia rispetto alla sola radioterapia. Il migliore regime di polichemioterapia è quello definito ABVD (doxorubicina, bleomicina, vinblastina, dacarbazine) da somministrare in infusione e.v. due volte al mese. L’impiego della polichemioterapia secondo lo schema ABVD ha consentito di ridimensionare l’utilizzo della radioterapia. Rispetto al passato, si utilizzano dosi più basse di radiazioni e si riducono i distretti corporei da sottoporre a radioterapia. L’impiego della radioterapia a dosi più elevate ed estesa ad un maggior numero di distretti corporei può provocare una maggiore incidenza di effetti collaterali tardivi, come, sviluppo di seconde neoplasie (mammella, polmone, tiroide), cardiopatie, pneumopatie, tireopatie, etc. L’orientamento attuale è quello quindi di somministrare da due a quattro cicli di ABVD, seguiti da radioterapia a basse dosi limitata alle stazioni linfonodali che alla diagnosi erano interessate da malattia (radioterapia del tipo “involved-field”). In conclusione, le moderne procedure di stadiazione ed i regimi terapeutici sempre più efficaci ma meno tossici hanno migliorato il trattamento dei pazienti con linfoma di Hodgkin; attualmente, si considera che il 90%-95% dei pazienti con linfoma di Hodgkin in fase iniziale possa raggiungere la guarigione definitiva..

A cura di Marco Picardi, Ematologo


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