Sostegno ai familiari
Inviato: 23 mag 2007, 14:33
http://www.corriere.it/sportello-cancro ... iver.shtml
Journal of Clinical Oncology, uno studio sui partner di pazienti trapiantati «Tumori, serve più sostegno ai familiari» Le persone che assistono i malati oncologici vanno incontro a pesanti situazioni di stress. Alcuni ospedali si stanno attrezzando per aiutarli.
MILANO – Sono mogli, mariti, fratelli, figli o genitori, e sono le persone che stanno accanto a chi ha un tumore; anche se la malattia non li colpisce in prima persona, può pesare su di loro con conseguenze psicofisiche a volte devastanti. Le condizioni dei cosiddetti caregiver, cioè di chi si prende cura di una persona che ha un cancro, sono da qualche tempo oggetto di interesse per molti specialisti, perché si tratta di figure che svolgono un ruolo fondamentale per il buon esito della cura, ma anche perché lo stress che sopportano può lasciare strascichi che non vanno sottovalutati.
Uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Oncology e condotto da Michelle Bishop, psicologa dell’Università della Florida di Gainsville (Stati Uniti), punta l’attenzione proprio su questi aspetti, partendo dall’osservazione prolungata di partner di persone che avevano assistito un malato di leucemia sottoposto a un trapianto di midollo. Questo tipo di intervento è stato scelto come modello perché è preceduto dalla ricerca del midollo compatibile, e richiede poi una degenza spesso lunga e in condizioni particolarmente delicate. Inoltre, il trapianto viene proposto spesso come una procedura urgente, amplificando dunque l’ansia e la sensazione di pericolo. Nello specifico, la psicologa americana ha selezionato 177 partner di trapiantati e ha confrontato la loro salute fisica e la loro condizione psichica con quella di 133 partner di persone sane: è così emerso che, mentre da un punto di vista prettamente fisico non c’erano differenze significative, da quello psicologico le ferite inferte dal tumore potevano essere paragonabili a quelle riportate dagli stessi malati. Infatti, a distanza di quasi sette anni dal trapianto, i caregiver mostavano segni di sofferenza, stress, depressione, ansia, difficoltà a dormire e a volte anche problemi nella vita sessuale simili a quelli dei loro cari, e comunque sempre superiori ai problemi registrati tra i partner di persone sane.
Nonostante ciò, il supporto psicologico offerto loro è stato sempre di minore entità rispetto a quello su cui hanno potuto contare i malati, e questo, secondo Bishop, dimostra che non viene posta sufficiente attenzione ai bisogni dei caregiver.
Annalisa Giacalone, psicologa del Centro di riferimento oncologico di Aviano (Pordenone), chiarisce meglio perché chi vive un tumore per interposta persona può soffrire così tanto: «Il caregiver deve avere una forza psicologica notevole, perché si assume il compito di sostenere il malato e mostrarsi forte, infondergli ottimismo, fare da intermediario con i medici, provvedere a molte incombenze quotidiane, mediche, legali e fare molto altro: un carico fisico ed emotivo che mette a dura prova anche le persone più forti e più psicologicamente attrezzate. Molto spesso, tuttavia, chi accudisce un malato ha poche occasioni di parlare della sua condizione, delle sue difficoltà, delle sue speranze o frustrazioni, e può sentirsi quasi in colpa se prova disagio, come se non gli fosse permesso soffrire. Un atteggiamento simile è sbagliato - continua Giacalone - perché lo stress e la depressione, non affrontati adeguatamente, possono portare a conseguenze negative che si trascinano per anni e si riflettono anche sul paziente, come viene dimostrato anche nello studio: non a caso si dice che il tumore è una malattia di tutta la famiglia. Con una differenza: il malato è al centro dell’attenzione di molte figure professionali, nonché di parenti e amici, mentre al caregiver non pensa quasi nessuno. Per fortuna tutto questo sta cambiando». Oggi, infatti, molti ospedali italiani prevedono programmi di formazione per medici, infermieri e volontari orientati proprio ai rapporti con i congiunti delle persone malate.
«Certo - aggiunge Giacalone - ci sono ancora molte difficoltà, a partire dal fatto che non tutti i reparti sono in grado di offrire un servizio di psiconcologia. Ma ciò che più conta è che la mentalità è cambiata, e oggi sono gli operatori i primi a preoccuparsi, spesso vincendo le resistenze degli interessati, anche dei bisogni e delle necessità dei familiari dei malati, perché senza di loro tutto è più difficile».
A questo proposito, anche la legislazione, sia pure con lentezza, registra i cambiamenti in atto e si adegua con strumenti opportuni: una recentissima sentenza della Corte Costituzionale (per i dettagli si può consultare il sito http://www.cortecostituzionale.it) è destinata a rendere la vita dei caregiver un po’ meno complicata. Finora, infatti, soltanto i genitori o, in caso di malattia di questi, un fratello o una sorella convivente avevano diritto al congedo straordinario dal lavoro per assistere un familiare cui era riconosciuto lo stato di handicap in situazione di gravità, norma di cui usufruiscono molti malati oncologici. La sentenza numero 158 depositata l’8 maggio scorso ha però dichiarato incostituzionale questa limitazione, stabilendo che il coniuge convivente ha un diritto prioritario e può assentarsi dal lavoro in modo continuativo o frazionato per un periodo complessivo massimo di due anni. Il congedo, che può essere preso una sola volta nell’arco dell’intera vita lavorativa, è totalmente retribuito e comprende il diritto a mantenere il posto di lavoro. Un aiuto, non piccolo, per i caregiver.
Agnese Codignola
22 maggio 2007
Journal of Clinical Oncology, uno studio sui partner di pazienti trapiantati «Tumori, serve più sostegno ai familiari» Le persone che assistono i malati oncologici vanno incontro a pesanti situazioni di stress. Alcuni ospedali si stanno attrezzando per aiutarli.
MILANO – Sono mogli, mariti, fratelli, figli o genitori, e sono le persone che stanno accanto a chi ha un tumore; anche se la malattia non li colpisce in prima persona, può pesare su di loro con conseguenze psicofisiche a volte devastanti. Le condizioni dei cosiddetti caregiver, cioè di chi si prende cura di una persona che ha un cancro, sono da qualche tempo oggetto di interesse per molti specialisti, perché si tratta di figure che svolgono un ruolo fondamentale per il buon esito della cura, ma anche perché lo stress che sopportano può lasciare strascichi che non vanno sottovalutati.
Uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Oncology e condotto da Michelle Bishop, psicologa dell’Università della Florida di Gainsville (Stati Uniti), punta l’attenzione proprio su questi aspetti, partendo dall’osservazione prolungata di partner di persone che avevano assistito un malato di leucemia sottoposto a un trapianto di midollo. Questo tipo di intervento è stato scelto come modello perché è preceduto dalla ricerca del midollo compatibile, e richiede poi una degenza spesso lunga e in condizioni particolarmente delicate. Inoltre, il trapianto viene proposto spesso come una procedura urgente, amplificando dunque l’ansia e la sensazione di pericolo. Nello specifico, la psicologa americana ha selezionato 177 partner di trapiantati e ha confrontato la loro salute fisica e la loro condizione psichica con quella di 133 partner di persone sane: è così emerso che, mentre da un punto di vista prettamente fisico non c’erano differenze significative, da quello psicologico le ferite inferte dal tumore potevano essere paragonabili a quelle riportate dagli stessi malati. Infatti, a distanza di quasi sette anni dal trapianto, i caregiver mostavano segni di sofferenza, stress, depressione, ansia, difficoltà a dormire e a volte anche problemi nella vita sessuale simili a quelli dei loro cari, e comunque sempre superiori ai problemi registrati tra i partner di persone sane.
Nonostante ciò, il supporto psicologico offerto loro è stato sempre di minore entità rispetto a quello su cui hanno potuto contare i malati, e questo, secondo Bishop, dimostra che non viene posta sufficiente attenzione ai bisogni dei caregiver.
Annalisa Giacalone, psicologa del Centro di riferimento oncologico di Aviano (Pordenone), chiarisce meglio perché chi vive un tumore per interposta persona può soffrire così tanto: «Il caregiver deve avere una forza psicologica notevole, perché si assume il compito di sostenere il malato e mostrarsi forte, infondergli ottimismo, fare da intermediario con i medici, provvedere a molte incombenze quotidiane, mediche, legali e fare molto altro: un carico fisico ed emotivo che mette a dura prova anche le persone più forti e più psicologicamente attrezzate. Molto spesso, tuttavia, chi accudisce un malato ha poche occasioni di parlare della sua condizione, delle sue difficoltà, delle sue speranze o frustrazioni, e può sentirsi quasi in colpa se prova disagio, come se non gli fosse permesso soffrire. Un atteggiamento simile è sbagliato - continua Giacalone - perché lo stress e la depressione, non affrontati adeguatamente, possono portare a conseguenze negative che si trascinano per anni e si riflettono anche sul paziente, come viene dimostrato anche nello studio: non a caso si dice che il tumore è una malattia di tutta la famiglia. Con una differenza: il malato è al centro dell’attenzione di molte figure professionali, nonché di parenti e amici, mentre al caregiver non pensa quasi nessuno. Per fortuna tutto questo sta cambiando». Oggi, infatti, molti ospedali italiani prevedono programmi di formazione per medici, infermieri e volontari orientati proprio ai rapporti con i congiunti delle persone malate.
«Certo - aggiunge Giacalone - ci sono ancora molte difficoltà, a partire dal fatto che non tutti i reparti sono in grado di offrire un servizio di psiconcologia. Ma ciò che più conta è che la mentalità è cambiata, e oggi sono gli operatori i primi a preoccuparsi, spesso vincendo le resistenze degli interessati, anche dei bisogni e delle necessità dei familiari dei malati, perché senza di loro tutto è più difficile».
A questo proposito, anche la legislazione, sia pure con lentezza, registra i cambiamenti in atto e si adegua con strumenti opportuni: una recentissima sentenza della Corte Costituzionale (per i dettagli si può consultare il sito http://www.cortecostituzionale.it) è destinata a rendere la vita dei caregiver un po’ meno complicata. Finora, infatti, soltanto i genitori o, in caso di malattia di questi, un fratello o una sorella convivente avevano diritto al congedo straordinario dal lavoro per assistere un familiare cui era riconosciuto lo stato di handicap in situazione di gravità, norma di cui usufruiscono molti malati oncologici. La sentenza numero 158 depositata l’8 maggio scorso ha però dichiarato incostituzionale questa limitazione, stabilendo che il coniuge convivente ha un diritto prioritario e può assentarsi dal lavoro in modo continuativo o frazionato per un periodo complessivo massimo di due anni. Il congedo, che può essere preso una sola volta nell’arco dell’intera vita lavorativa, è totalmente retribuito e comprende il diritto a mantenere il posto di lavoro. Un aiuto, non piccolo, per i caregiver.
Agnese Codignola
22 maggio 2007